Passando per le strade e negli
angoli diAleppo, la mia città sotto la continua tempesta della guerra da più di
cinque anni,si vedono ruderi ovunque, non solo di edifici demoliti ma anche di
persone umanamente distrutte.
Poco tempo fa una signora bussa
alla porta del Convento, chiedendo diincontrarmi. Il suo nome è Lara,
trentenne, vedova, due bambini. Ha bisogno di aprire il cuore. La sua famiglia
di origine era immigrata ad Aleppo in cerca di lavoro. Ora si trova nel
bisogno, oltre alla sofferenza psicologica per la perdita del marito sente
gravare su di sé la responsabilità della crescita dei figli: hanno tante necessità
cui non può rispondere, si sente come una colomba «con un’ala fratturata», non
riesce ad andare avanti. Ad Aleppo c’è un gran numero di vedove come lei, bisognose
di tutto.
Cercano ogni giorno di noi. Servirebbe
un progetto di assistenza spirituale e materiale adatto alle loro esigenze, ma
esiste solo una piccola associazione che si occupa di una quarantina di vedove
di guerra facendosi carico dei loro problemi in modo lodevole. Tra le tante
persone ferite dallaguerra, queste vedove sono uno dei punti più deboli.
Da un primo sondaggio risulta che
solo tra i cristiani ci sono circa duemila vedoveoggi ad Aleppo,appartenenti ai
diversi riti. Prendersene cura è davvero una grande sfida per una Chiesa
martirizzata. Già nell’Antico Testamento il Signore le nomina ogni volta che si
parla di giustizia sociale, insieme agli orfani e agli stranieri, proibendo che
subiscano ingiustizie. Nel Nuovo Testamento san Giacomo, a proposito della
religione ben accetta a Dio, parla disostenere le vedove e gli orfani nelle
loro necessità... Nel nostro lavoro pastorale c’è un’altra spia accesa che ci
allarma: sono i bambini e i giovani nati in famiglie straziate e disgregate. In
genere si parla della famiglia orientale come esempio per indicare una realtà
solida e unita, dove le promesse matrimoniali vengono custodite e vissute con
serenità.Invece sono in aumentole famiglie che non vivono più secondo questa
tradizione. Molti bambini crescono in situazioni familiari difficili, in casa
regnano la violenza e i litigi fra i genitori.Altri vivono con un solo
genitore, perché papà e mamma sono separati o perché uno dei due è emigrato all’estero,
spesso senza dare più notizie di sé. Questi minori sono il futuro della Chiesa
e della società siriana ma portano con grande amarezza le ferite del passato, e
in famiglia non possono contare su nessuno che ne segua davvero il cammino di
fede. La loro lettura negativa della realtà si riversa nelle relazioni con
l’altro, del quale spesso hanno paura.
Così, più questi ragazzi crescono
più manifestano uno squilibrio relazionale, la maggior parte di loro è intelligente
e ha un buon carattere ma avverte pessimismo e sfiducia riguardo al futuro
della propria famiglia. Dialogando con loro, oltre alla figura del padre o
della madre sulla quale grava un’ombra,si percepisce un’immagine errata di Dio
stesso. Infatti non avendo sperimentato in famiglia la tenerezza e l’equilibrio
nel rapporto con uno o entrambi i genitori neppure riescono a comprendere
l’affetto, la tenerezza e la misericordia di un Dio che ama personalmente, che
«ha dato se stesso per ciascuno di noi». Pensando alle donne, ai bambini e ai
giovani con storie travagliate sento che il mio piccolo cuore di parroco si
riempie di compassione. Loro sono miei figli e hanno bisogno di essere amati,
accompagnati, guidati e sostenuti, come anch’io desidererei esserlo se fossi
nella loro condizione. Mi è sempre piaciuta la strategia di Gesù nel Vangelo di
Giovanni.Ciòche li caratterizza è l’incontro personale. Egli si intrattiene a
lungo con la samaritana nonostante leitendesse inizialmente a liquidarlo in
fretta. E così accade anche con Nicodemo, nonostante l’incertezza della fede e
l’inquietudine che non gli fa ancora cogliere il pensiero del Maestro. Con il
cieco nato, poi, Gesù si fa vicino, interviene e lo risana, e poi lo incontra e
lo accoglie. Si tratta di lunghi incontri in mezzo ai tanti impegni del
Maestro. Anche nell’incontro di Gesù con la vedova di Nain, riferito dalVangelo
diLuca, c’è tanta tenerezza, tanta compassione. Un intervento, il tocco che
ferma la bara, poi la parola che nasce dall’amore, un amore che ridona la vita
al morto, e dopo la cura di consegnarlo di persona alla madre... È questo il
nostro stile pastorale. Ognuno è prezioso, specie questi elementi più deboli di
una società come la nostra ormai sfinita a causa della guerra. In ogni incontro
si ripete l’incontro stesso di Gesù con la gente. Un incontro di ascolto, pieno
di affetto, di commozione, di tenerezza. La nostra azione in questo anno
giubilare, e in un tempo di guerra e disofferenza, è a tutti e due i livelli:
quello spirituale e quello umano emateriale,inmodo che ogni pesce venga pescato
personalmente, ogni agnello venga ricercato perché è prezioso, e così portato
di nuovo all’ovile, alla comunità. Sono le nostre priorità:priorità di
compassione, priorità di avere «glistessisentimenti di Gesù» per accompagnare
le vedove, i bambini e i giovaninel cammino della fede. È uno stile pastorale
di misericordia, quello che il Signore ci ha insegnato e che viene applicat ooggi
ad Aleppo, città che non riesce ad avere misericordia dalla comunità
internazionale